Dream island!

Questo è un porto sicuro, dove si rispetta ogni essere vivente: ben arrivato, straniero!

martedì 2 novembre 2010

Meet e ... tante risate!

..............

Un’occhiata divertita di Tom, che alzò il sopracciglio, accennando ad un sorriso in loro direzione, fece capire che comprendeva la situazione.

“Sei ancora arrabbiata?” disse avanzando verso Belinda.
Lei di colpo lasciò andare la sorella e si raddrizzò cercando di ricomporsi.
“Abbastanza, ma possiamo rimandare a dopo!” rispose guardandolo.
“Oh, ma non vi preoccupate per noi! Mi piace assistere a litigi tra ragazze!” rise lui incrociando le braccia.
“Risolverò la situazione con la mia sorellina tra le pareti domestiche!” borbottò lei sostenuta.
“Quelle tra sorelle sono ancora più divertenti!” rise Tom avanzando verso di lei “Con mio fratello non c’è sfida: si arrende subito e le prende tutte!”
“Io se riesco a evitare che mi blocchi, è fatta. La indebolisco con il solletico e poi la colpisco!” rispose Belinda scoppiando a ridere anche lei.
“E’ un vero piacere conoscervi. Io sono Tom!” le disse il ragazzo abbassandosi a baciarla e stringendole la mano.
“Piacere mio, Tom! Dovremmo scambiarci informazioni sulle tecniche di combattimento!” ricambiò lei.
A rotazione si presentarono anche gli altri due ragazzi, ridendo.
Annalisa era diventata rossa peperone quando abbracciò Georg, guardandolo estasiata.
“Bella voce!” disse Gustav a Belinda, mentre le stringeva la mano “Canti?”
“Qualche tempo fa!” rispose lei sospirando “E suonavo anche la chitarra e la tastiera!”
“Peccato non continuare!” intervenne Georg “Io non potrei mai mollare!”
“A volte la vita ti mette di fronte a delle scelte …” mormorò lei.
Si scambiarono un’occhiata comprensiva, mentre Naomi allungava la testa per guardare alle loro spalle.
“Bill arriva tra un po’!” le disse Tom strizzandole l’occhio “Sai, la ‘Diva’ deve struccarsi!”
Proprio in quel momento la porta si aprì e apparve l’interessato, con il viso pulito e i capelli liberi sulle spalle.
“Ti ho sentito, Tom! Possibile che tu mi faccia fare sempre brutta figura?” disse in direzione del fratello, facendo un ampio sorriso.
Belinda e Tom si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere, complici.
Il ragazzo li guardò in modo interrogativo, ma non poté approfondire perché Naomi si era fiondata da lui per stringergli la mano e presentarsi.
Belinda la osservò sorridendo: eccola lì, con occhi sognanti e sorriso incantatore, a venerare il ragazzo il cui poster da quasi due anni capeggiava in camera e a cui affidava il suo ultimo pensiero della sera e il primo del mattino.
Scosse la testa e rimandò i suoi propositi bellicosi: quelli erano momenti che capitavano raramente nella vita. Il sogno si stava avverando e non sarebbe stata lei ad interromperlo.
Alzando la testa, scorse gli occhi di Bill su di lei ed arrossì. Maledizione, possibile che non aveva ancora imparato a nascondere il rossore? Che diamine, aveva quasi venti anni!
Il ragazzo si avvicinò, sorridendo e porgendole la mano.
“Non ho avuto possibilità di ringraziarti per l’esibizione! Avevi una gran fretta!”
“Sì, scusami, ma avevo un istinto omicida a cui non riuscivo a resistere!” rise lei “Perdonami, sono stata una gran maleducata! Dovrei essere io a ringraziare voi!”
Tom continuava a sghignazzare, mentre Naomi gli lanciava un’occhiataccia.
Bill li guardò e il suo sguardo passava indagatore tra il fratello e Belinda, senza comprendere le loro occhiate.
“Non preoccuparti, mi è piaciuto tanto cantare con te! E’ la prima volta che un’esibizione a due mi riesce così bene!”
“E soprattutto è la prima volta che una ti dice che non è una tua fan e non muore dalla voglia di saltarti addosso!” lo prese in giro Tom.
“Non dovevo dirlo! Non è stato molto carino!” si scusò Belinda, dandogli un’occhiataccia.
“Ma se è stata la parte più bella della serata!” rise Georg “Non ridevo così tanto da una vita!”.
Lui e Tom si batterono un ‘cinque’ con le mani, mentre Bill li riprendeva:
“Non c’era proprio nulla di divertente!”
“Forse per te …!” ridacchiarono loro.
Belinda diede un finto scappellotto a Tom, che si scansò ridendo ed esclamando:
“Questa ragazza mi piace sempre di più!”
Belinda si lasciò andare ad una risata liberatoria e guardò Bill, scuotendo la testa.
“Siete venute apposta dall’Italia per il concerto?” si informò lui.
“No, è stata una coincidenza!” rispose Naomi avvicinandosi “Belinda è qui per motivi di studio e noi ci siamo infiltrate per poter venire a vederti … anche se non immaginavamo che saremmo state così fortunate!”
“Ma noi incontriamo spesso le fans, quindi non è inusuale che ci vedano dal vivo e parlino con noi!” disse il ragazzo “Vi fermerete ancora un po’?”
“Sì, qualche giorno qui e poi andiamo a Potsdam!” rispose Annalisa, continuando a tenere gli occhi fissi su Georg, che sembrava un po’ imbarazzato da quello sguardo insistente.
“Potreste venire al concerto di domani sera, allora!” buttò lì Tom, fissando Belinda di sottecchi.
Lei spalancò gli occhi, borbottando: “Ci mancherebbe anche questa!” facendolo ridere.
Ma Naomi stava già battendo le mani, dicendo che era una buona idea. Subito dopo però, si imbronciò affermando che non c’erano più biglietti in giro e che quindi non si poteva fare.
“Nessun problema!” affermò Bill sorridendo “I pass che avete al collo potete usarli domani sera per entrare da dietro le quinte e quindi assistere da una posizione di favore!”
Il consueto trillo della risata della ragazza si diffuse ovunque e contagiò tutti.
“Non mi sembra il caso, ragazzi!” intervenne Belinda, mentre la sorella le mollò un piccolo calcio “Piantala Trilly!” le disse “Ci hanno già concesso molto, non esagerare!”
“E’ un piacere!” le disse Bill prendendole la mano “Ed è per ringraziarti ancora per quello che hai fatto!”
Belinda alzò lo sguardo verso i suoi occhi e vi lesse curiosità e interesse, ma li spostò quasi subito, per evitare quell’incanto.
Sorridendo il ragazzo la lasciò andare, mentre diceva a Naomi:
“Potremmo fare uno scambio!”
“Mia sorella per tuo fratello?” rise lei impertinente “Si può fare!”
Scoppiarono tutti a ridere, mentre Belinda le lanciava occhiate assassine.
“Sì, non sarebbe male!” rise il ragazzo “Ma intendevo chiederti in prestito la tua croce! E’ quella con cui mi hai abbagliato?”
“Bella vero?” affermò lei “E’ di Linda, ma non credo che farà storie se te la presto!”
“Ti spiace?” chiese lui guardandola “Prometto di metterla domani al concerto e te la rendo a fine esibizione!”
“Figurati!” mormorò lei “Tanto per quel che conta il mio parere, mi par di capire!”
Tom le passò un braccio sulle spalle, dicendole:
“I fratelli sono gioie e dolori: non puoi stare con loro, ma neanche senza di loro!”
Per spirito di solidarietà, Belinda si girò di lato, e allungandosi sulle punte dei piedi, gli scoccò un bacio sulla guancia.
“Grazie!”
Tom sorridendo sornione, guardò suo fratello: “E’ una mia fan!”
Bill li guardò scuotendo la testa, mentre bussavano alla porta. Un uomo entrò ricordando loro che dovevano andare via ed avevano poco tempo per muoversi.
“Cosa farete domani prima del concerto?” si informò Annalisa “Avete interviste, incontri?”
“No, mattinata libera!” rispose Gustav, stiracchiandosi.
“E voi?” chiese Tom, liberando il braccio dalle spalle di Belinda.
“Shopping sfrenato!” rise Naomi “Devo comprarmi qualcosa di bello per il concerto!”
“Guarda che non sei tu che ti esibisci!” la redarguì l’amica.
“Ma così mi hanno già vista!” si difese “Occorre qualcosa di nuovo …”
“Spendacciona!” le disse la sorella.
“Anche io adoro comperare accessori e abbigliamento!” le confidò Bill.
“Ma se le dai la tua carta di credito, è capace di ridurti sul lastrico nel giro di una mattinata!” gli disse la ragazza.
“Non è vero!” protestò Naomi, prendendo Bill per un braccio “Compro solo cose carine!”
Belinda roteò gli occhi e Annalisa dondolò la testa.
“Piacerebbe anche a me andare a fare compere domani, ma … è una tragedia uscire, con le fans sempre fuori dalla porta che ti aspettano!” sospirò Bill.
“Vabbé, se troviamo qualcosa di carino, te lo prendiamo e te lo diamo domani, va bene?” lo consolò Naomi “Tanto mi pare che abbiamo gli stessi gusti!”
“Sei molto gentile, grazie!” sorrise lui guardandola.
“Su torniamo in albergo!” li interruppe Belinda “E andiamo a cercare una pizzeria: ho una fame terribile!”
“Ummm … pizza! “ sospirò Georg “State facendo venire fame anche a me!”
“Ne ordiniamo un po’ adesso che andiamo in albergo!” gli disse Tom annuendo.
“Ma siete in albergo anche voi?” chiese Annalisa.
“Sì, non valeva la pena fare i pendolari da casa per tre tappe del concerto!”
“E dove alloggiate?” chiese Naomi.
“Al Ritz!” rispose Tom “E voi?”
“Non al Ritz, purtroppo!” sospirò la ragazza “Anche se il nostro hotel è molto confortevole!”
“E vediamo il Ritz dal balcone!” le disse Belinda.
“Davvero?” chiese Naomi voltandosi sorpresa.
“Sì, siamo sul lato nord del palazzo!”
“Ma che bello!” esclamò lei “Allora …”
“Allora niente, adesso basta!” la strattonò la sorella “Ragazzi, andiamo via e grazie ancora! A domani!”
Tom ridendo si chinò a salutarle con un bacio, sussurrando all’orecchio di Naomi:
“Hai bisogno di una scorta, per il ritorno? Siamo sicuri che ci vedremo domani?”
Lei voltò la testa in direzione della sorella, sorridendo.
“Io potrò avere qualche livido, ma lei non starà molto meglio! Ma grazie del pensiero, sei molto carino!”
Anche Bill si abbassò per salutare Belinda, che gli disse:
“Oddio, potresti evitare di metterti anche i tacchi? Mi fai sentire un lillipuziano!”
Lui ridendo la baciò sulle guancie, sussurrandole:
“La Venere di Botticelli era bellissima e stava in una mano, non dimenticarlo!”
Le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si allontanò verso la porta.
Sorpresa e turbata anche lei si avviò verso la porta e si allontanò nella direzione opposta del corridoio, senza voltarsi indietro e senza accertarsi che le altre due la seguissero.
“Aspetta!” le urlava dietro la sorella, rincorrendola.
Ma lei si diresse all’uscita, spingendo la porta e respirando a pieni polmoni l’aria fresca della sera e guardando il cielo stellato.
Quando la raggiunsero, fece loro un cenno di andare verso l’albergo e con un muto accordo, decisero di non parlare finché non lo avessero raggiunto.

fine primo capitolo
 

Cantare con Bill ...

.....

Imbarazzata, arrabbiata e seccata si liberò dalle sue braccia e cercò di sistemarsi la giacca per darsi un tono. Si lisciò i capelli nervosamente, mentre la luce del faretto continuava ad illuminarla. Non vedeva nulla a parte una massa indistinta di persone che agitavano le braccia verso di lei, ma non riusciva a distinguere la sorella.

“Cavolo, io l’ammazzo appena riesco a scendere di qui!” pensava arrabbiata “E adesso che faccio, dove vado?”
Avvertì una presenza vicino a lei e le luci del palco si accesero. Bill e gli altri la guardavano sorpresi dal suo atteggiamento e dal fatto che non si precipitasse verso di loro.
“Tutto ok?” le chiese il ragazzo perplesso “Grazie di essere venuta qui!”
“Veramente non volevo salire!” sbottò Belinda irritata “Non sono neanche una tua fan!”
Appena pronunciate le parole, avrebbe volute rimangiarsele. Bella figura in diretta davanti a migliaia di persone!
Sempre più nervosa, si toccava continuamente i capelli e la sensazione di saltare di nuovo giù dal palco era sempre più forte.
“Oh bhè, allora devo fare del mio meglio per farti conoscere la nostra musica!” rise imbarazzato anche Bill che non sapeva come gestire la strana situazione “Come ti chiami?”
“Belinda!” rispose lei alzando gli occhi a guardarlo. Accidenti, non riusciva a vederlo se non rovesciava la testa all’indietro.
Bill pronunciò il nome con un accento diverso, facendo diventare il nome ‘Bilinda’.
“Abbiamo quasi nomi uguali! Da dove vieni?”
“Italia, Torino!” borbottò lei
“Un’amica che viene da lontano! Però, parli bene il tedesco, vero ragazzi?” disse rivolgendosi al pubblico e coinvolgendolo nella strana conversazione.
“Grazie!”
Belinda si rendeva conto che la situazione diventava sempre più delicata e la sua voglia di scappare era sempre più evidente. Oddio, come aveva fatto a finire lì? Maledisse mentalmente Naomi che riusciva ora a vedere nettamente tra le prime file, la quale rideva a crepapelle e continuava a salutarla con la mano.
Ah, ma sarebbe andata giù a suonargliele a quella piccola peste!
Si accorse che il ragazzo le aveva chiesto qualcosa: che figura, sembrava una deficiente!
Si riprese in fretta, mentre lui le ripeteva: “Vuoi cantare?”
Senza una parola porse la mano per avere un microfono e appena lui glielo passò, fece un cenno a Tom di partire con la musica.
“Ok, andiamo!” gli disse, attaccando la prima strofa di ‘Automatic’.
La sua voce si diffuse nell’aria in modo chiaro, limpido, intonato facendo urlare le ragazze della platea.
Con un sorriso anche Bill iniziò a cantare con lei e dopo poco trovarono affiatamento, lui con i toni più alti, Belinda con quelli più bassi e profondi.
Ci fu un vero mix di voci, mentre anche il resto della band si sentiva travolgere dall’atmosfera magica che si diffondeva.
Belinda cantava, si muoveva di pari passo a Bill sul palco e sentiva tra le dita il pizzicare delle corde della chitarra di Tom, mimandone i gesti.
Il pezzo arrivò alla fine con sorpresa di tutti, che applaudivano e urlavano il loro coinvolgimento.
Con il fiatone Belinda si ritrovò a guardare il pubblico, felice e sorpresa da se stessa e da quella sensazione che la rendeva elettrica e viva.
Si voltò a sorridere a Bill che dall’alto della sua prestanza, le sorrideva con gli occhi.
Sì, in effetti era molto truccato, ma la vivacità di quello sguardo era autentico e non si meravigliava che sua sorella ne fosse innamorata.
A proposito di Naomi: si girò a guardarla e la vide che applaudiva come una matta, mentre gli occhi le brillavano e mimava con la bocca “è mia sorella!”
Non riusciva più a stare sul palco, aveva bisogno di scendere!
Rese il microfono a Bill e farfugliando un “Grazie!” gli fece un rapido inchino, alzò la mano in segno di saluto agli altri, e si apprestò a scendere dal palco, mentre all’indirizzo di sua sorella, fece un gestaccio, prontamente ripreso dalle telecamere e mandato sul maxischermo.
Una sommessa risata scosse tutti e un applauso spontaneo si alzò dal pubblico.
Rossa fino alle orecchie, svelta saltò giù cercando si arrivare alla sua postazione, mentre un uomo della sicurezza arrivava in suo aiuto. Intanto sul palco Bill parlò con il pubblico, ringraziandola ancora una volta e un’altra canzone partì dagli strumenti.
Belinda raggiunse la sorella che la abbracciò, anticipando la sua reazione furiosa, così rimandò il momento della ramanzina, visto che comunque non avrebbero capito nulla.
Rinunciando a scavalcare la transenna, si sedette a terra e continuò a seguire il concerto.
Era stordita, confusa e non riusciva a credere a ciò che le era appena capitato.
Era finita su un palco, a Berlino, a cantare davanti ad un pubblico non suo, con cantanti internazionali che neanche conosceva e che le avevano offerto un momento di gioia che aveva cancellato un anno di dolore.
Non riusciva a crederci: le era sembrato così naturale ricominciare a cantare … cosa era successo? Cosa l’aveva spinta a riprendere in mano il microfono? Sarebbe stato facile saltare giù dal palco e rifiutare di cantare! Tanto cosa avrebbero potuto fare? Poteva dire che non conosceva le canzoni!
Invece aveva raccolto la sfida e aveva cantato. Aveva cantato!
Dentro di sé una leggera tranquillità aveva cominciato a scorrere e seduta lì a terra continuava a sentire la musica senza più riuscire a muoversi.
Si sentiva come svuotata ….
Un lungo applauso e nomi gridati in modo ossessivo le fecero capire che il concerto stava terminando.
Bill si profuse in un lungo ringraziamento al suo pubblico e tra gli inchini, i quattro ragazzi lasciarono il palco.
Belinda si alzò, cercò di recuperare la sorella con l’amica e attesero che il palazzetto si svuotasse per poter anche loro raggiungere l’uscita.
Nella calma di quei pochi momenti, Naomi l’apostrofò:
“Allora, come si sente la nostra star?”
“Piccola manipolatrice, adesso che usciamo, ti conviene cercare aiuto perché sono sicura che se ti metto le mani addosso, i nostri genitori non ti riconosceranno più!”
“Ma che ingrata! Quando mai avresti avuto un pubblico di queste dimensioni?”
“Ah, dovrei anche ringraziarti!” sbottò seccata.
“Certo! … Com’è Bill da vicino? Che invidia!!” sorrise Naomi, strizzandole l’occhio.
Belinda ripensò a quegli occhi scuri e arrossendo ancora al ricordo, borbottò: “Alto!”
Scoppiarono a ridere, mentre Naomi si lamentava:
“Potevi almeno chiedergli un autografo per me!”
“Mentre cantava?” ribatté ironica.
“Ma anche alla fine, se non fossi scappata come un coniglio!”
“Credo che sia stato uno smacco per lui!” rise Annalisa “Di solito le fans gli saltano addosso, senza mai lasciarlo un secondo!”
“Se l’avessi fatto, sarei sembrata un panda aggrappato ad un albero … anzi, credo che non sarei neanche riuscita a scalarlo!” rise Belinda.
“Chiediamo al boy della sicurezza se può farci fare un autografo!” se ne uscì Naomi dirigendosi spedita verso l’uomo.
“Ma dove vai?” le urlò dietro la sorella.
Ormai non c’era verso di fermarla e dopo aver gesticolato un po’, fece loro cenno di raggiungerla.
“Oddio, quando finirà questa giornata!” sbuffò Belinda tirandosi indietro i capelli.
“Ho detto a questo signore che ero tua sorella e siccome ti sei emozionata sul palco perché sei timida, non hai avuto il coraggio di chiedere un autografo! Se aspettiamo qui buone buone, vede cosa si può fare!” disse ridendo “Sai, credo che tu gli sia piaciuta! … Magari è lui che ti chiede un autografo!”
“E’ incredibile la tua faccia tosta!” rise Annalisa “Ma ti adoro!”
“Lo so! Ah, se non ci fossi io …” rise lei “A proposito Linda, sai che pensa che io sono la sorella maggiore? Sarà perché sei una nanetta?”
Belinda aveva sempre sofferto per la sua statura piccola, ma dopo il misero confronto con Bill e le prese in giro della sorella, si ribellò, mollandole uno spintone.
“Non credere di passarla liscia! Sarò anche piccola, ma sono la più grande e posso rispedirti a casa a calci nel didietro!”
“Permalosa!” rise Naomi, mentre schivando un altro schiaffo, l’abbracciava “Però, ‘Bilinda’, canti proprio da dio!”
“E’ vero!” affermò Annalisa “Era emozionante vedervi! Ti ho ripresa con il telefonino! Spero si veda bene!”
In quel momento il ragazzo fece loro il gesto di seguirle e, con passo spedito, raggiunsero le quinte del palco e vennero indirizzate verso il fondo di un corridoio.
Belinda avvertì di nuovo quella familiare sensazione di darsela a gambe, ma la sorella la teneva prudentemente per un dito, ridacchiando sottovoce.
“Ti diverti, vero?” borbottò dandole un’occhiata in tralice.
“Su, se superi questa, vuol dire che sta andando tutto per il meglio!” rise l’altra.
Un uomo dalla corporatura media si presentò dicendo di chiamarsi Marcus e le fece accomodare in una saletta spoglia, dove c’erano solo qualche sedia di plastica, un appendiabiti di metallo e qualche cassa di strumenti.
“Attendete qui!” le salutò con un sorriso, dando loro un pass da ospiti.
“Sto morendo di fame!” si lamentò Belinda, ravvivandosi i capelli.
“Ti prometto che ci faremo la più grande pizza del mondo se resisti giusto il tempo di farmi fare una foto con Bill e un autografo!” le disse Naomi, incrociando le dita.
“Perché non aspettate solo voi? Io vado fuori! Qui mi manca un po’ l’aria!”
“E ci lasci da sole? Guarda che abbiamo avuto questo trattamento solo perché c’eri tu!” le disse di rimando Annalisa “Credi mica che facciamo passare tutte quelle che lo chiedono?”
“E’ proprio questo che non mi va giù!” mormorò la ragazza alzandosi e passeggiando avanti e indietro “Mi sento già abbastanza idiota per come mi sono comportata … mi è sembrato che tutti quelli che ci guardavano, ridessero alle mie spalle!”
“Ma no, l’hanno scambiata per timidezza!” rise Naomi “Anche se solo noi sappiamo che eri incazzata nera!”
“Non è stato per nulla divertente!” protestò Belinda avvicinandosi minacciosa.
“Sì, lo so … scusami ….” rispose fintamente contrita “Ma avevi una faccia, che non ho potuto resistere!” e scoppiò a ridere.
“Ah, ah, molto spiritosa!”
“Davvero Linda, durante il concerto avevi un’aria così … rapita!” la incalzò Annalisa “E poi mimavi benissimo il movimento della chitarra!”
“A me è sembrato che il tuo posto fosse lì, sul palco!” mormorò Naomi guardandola molto intensamente.
“No! Non mi è piaciuto che avete scelto per me … e davanti a tutta quella gente!” si ribellò lei.
“Ma chi pensava che ti avrebbero presa!” si difesa l’amica.
“Bhé, basta aiutare la fortuna!” ridacchiò la sorella, rigirandosi tra le mani la croce incriminata.
“Mi prudono ancora le mani e se …” cominciò Belinda avanzando verso la ragazza prendendola per il bavero della giacca.
Proprio in quel momento la porta si aprì alle loro spalle, lasciando passare Tom, Gustav e Georg.

... continued ...

Il concerto con ... sorpresa!

...

“Smettila di spingere!” gridò Belinda a Naomi, mentre cercava di farsi largo tra la folla di ragazzine urlanti che sostavano davanti al Palazzetto dove si teneva il concerto.

“Se non andiamo più avanti, non vediamo niente!” le rispose di rimando la sorella.
“Per andare più avanti, dovremmo passare su parecchi cadaveri, mi sa!”
“Fai la finta tonta straniera e voglio vedere se riescono a fermarti!” le suggerì Annalisa spostandosi una ciocca di capelli dagli occhi.
Tante occhiatacce si levarono dalle ragazze vestite di nero che erano davanti alle transenne, in loro direzione, a cui Belinda rispose con un’alzata di spalle e occhiolino.
In effetti lei sembrava la più piccola delle tre, visto che era più bassa di almeno una quindicina di centimetri rispetto alla sorella e molto più esile.
Guardando Naomi, le scappò un sorriso: avevano un look molto particolare e non passavano di certo inosservate. Erano tutte e tre vestite di nero, con shirts e pantaloni neri, di diversi modelli e fogge, un trucco agli occhi “dark” sebbene non appariscente, ma ciò che le distingueva era la giacca di pelle colorata, che indossavano: blu scuro per Belinda, arancio per Naomi e rossa per Annalisa.
“Almeno se ci perdiamo, ci riconosceremmo in quella marea umana!” aveva detto Belinda quando le aveva indicate alle altre.
Ormai le prime ombre della sera si allungavano sulla città e tra qualche minuto avrebbero aperto i cancelli per permettere al pubblico di prendere posto ed assistere all’evento.
Le ragazze si guardavano intorno con curiosità, osservando i visi eccitati delle altre fans, quelli un po’ stanchi per la lunga attesa (alcune attendevano dalla mattina!) e quelli tolleranti dei genitori che accompagnavano i più giovani.
Un incaricato della security avvertiva, intanto, che non era permesso introdurre bottiglie sia in plastica che in vetro, macchine fotografiche e videocamere.
Dopodiché si scatenò l’inferno in versione “teens”: due guardie corpulente aprirono i cancelletti ed iniziò la carica delle ragazze in direzione palco per prendere i posti migliori.
Belinda si ritrovò pigiata tra una ragazza con una cresta altissima ed un ragazzo truccato come Bill a cui pendevano catene dai jeans neri sbrindellati, che correvano come tori alla corrida spagnola. Ebbe il tempo di fare un respiro profondo, come prima di un’immersione, e si ritrovò accanto alla sorella per miracolo che le indicava con gesti molto concitati di raggiungerla. Ma era impossibile, visto che i due tipi la trascinarono a tutta velocità verso il palco, e non ci fossero state le transenne, Belinda era sicura, che si sarebbe ritrovata sotto la batteria di Gustav a fare da pedaliera.
I due tipi abbassarono la testa a guardarla, quasi sorpresi di trovarsela li, e lei con un sorriso di circostanza, alzò le spalle e a grandi bracciate, fece cenno alla sorella di raggiungerla. Senza tanti complimenti le due ragazze arrivarono, rallegrandosi per il posto conquistato.
“Sei stata una grande, neanche a cannonate saremmo riuscite ad arrivare qui!” le gridò Naomi, abbracciandola forte.
Belinda abbassò lo sguardo, non osando confessare che il merito era dei due watussi che l’avevano agganciata … anche se a pensarci bene, la vista era proprio bellissima.
Erano in una posizione un po’ laterale dal palco, ma si riusciva sia a guardare la band dal vivo, sia sul maxischermo posizionato proprio lì vicino.
Era anche un po’ sorpresa della compostezza dei fans che non spingevano in direzione palco, creando la solita calca da panico, ma prendevano posizione nel parterre, in modo ordinato e colorato. Inutile dire che il colore dominante era il nero, con pennellate colorate qua e là di rosso e cartelloni bianchi dipinti come murales. Era quella la parte bella dei concerti: la leggera eccitazione che ti prendeva dai piedi, ti saliva come un formicolio lungo il corpo e quando incontrava la musica, esplodeva in una irrefrenabile voglia di urlare, gridare, far sentire la propria presenza.
Belinda cominciò ad abbandonare la sua diffidenza: era inutile resistere! Cominciava a sentire una corrente lungo tutta la schiena, aveva voglia di muoversi, di cantare, di lasciarsi andare. Anche se la sua mente cercava di resistere, trovarsi di nuovo in mezzo alla gente, dove la musica era il solo mezzo di comunicazione, la faceva sentire viva.
All’improvviso le luci cominciarono a dardeggiare, un leggero fumo si alzò dal palco e qualche nota cominciò a sentirsi nell’aria. Dal pubblico si alzò un boato, mentre a gran voce si gridavano i nomi dei ragazzi della band.
Una voce dalla regia diede l’annuncio: “Wilkommen in Tokio Hotel” e subito sul palco apparvero i gemelli, seguiti da Gustav e Georg, che presero posizione dietro gli strumenti.
L’aria divenne elettrica e non appena partì la prima nota dalla chitarra di Tom, tempo e spazio non furono più gli stessi.
Bill teneva il palco in un completo nero con anfibi altissimi (e dire che era già di altezza stratosferica per Belinda!), una giacca di pelle nera a maniche corte e capelli sparati all’aria, quasi a ricordare un antico romano.
Belinda si appoggiò alla transenna, lasciandosi trasportare dalla musica, non sentendo neanche più la sua pesantezza fisica, ma come cullata in una dimensione che non era reale.
Al suo fianco Naomi ed Annalisa cantavano, coinvolte, le canzoni, battendo le mani e saltellando sul posto, con gli occhi lucenti e il sorriso sulle labbra.
Lei ricordava come ci si sentiva sul palco ….
Per carità non aveva mai cantato davanti ad un pubblico di tale portata, ma quando c’è qualcuno disposto ad ascoltare quello che hai da dire, che hai da comunicare, uno o centomila, non hanno importanza.
Sentiva l’adrenalina prendere posto in lei, la musica rimbombare nelle sue orecchie e un vecchio formicolio pizzicarle le dita.
Oh, quanto aveva voglia di avere una chitarra tra le dita, pizzicare le corde, sentire come rimbombava il suono nella cassa e lasciare che la testa si muovesse da sé.
Senza accorgersene cominciò a canticchiare, improvvisando sui testi che non conosceva, anche se ascoltando attentamente, si potevano quasi prevedere le parole.
Però, quel Bill! Non faceva testi ricercati, ma così semplici e scorrevoli, che sembravano nascere dal cuore. E quella musica, così accordata, così coinvolgente … Vabbé, non erano gli U2, ma come inizio, ci si poteva accontentare.
E Bill parlava, correva sul palco, scherzava con il fratello, non sembrando mai stanco, anzi aveva una grinta pazzesca e sembrava che non vivesse che per quel momento.
Non si stancava di ringraziare le fans per la loro energia, per il loro incitamento, e lui si fondeva in quella miscela, restituendola amplificata e arricchita di tutto l’amore che sentiva per quel che faceva.
Belinda si fermò un istante a guardare attentamente il palco sul maxischermo: poteva seriamente rinunciare alla musica? Se un concerto a cui non voleva neanche andare la rendeva così fragile, così ricettiva, cosa avrebbe provato ad essere lei su quel palco?
Un calore violento la invase tutta e si ritrovò a cantare più forte sulle note di ‘Automatic’ che partì subito dopo.
All’improvviso la musica cessò di colpo, le luci si abbassarono e un boato si alzò dal pubblico.
Con un sorriso Bill si sporse verso il pubblico, dicendo:
“Non ricordo come va avanti questa canzone: c’è qualcuno disposto ad aiutarmi, venendo sul palco e cantare con me?”
Si scatenò l’inferno, con ragazze che urlavano “scegli me!!” e quelle che cercavano di proiettarsi verso il palco, cercando di scavalcare la transenna.
“Cercheremo una persona con l’aiuto della regia: illumina il pubblico!” sentenziò Bill, invitando le luci a perlustrare la folla.
Un grande cerchio luminoso si mosse sulla folla urlante e c’erano tantissime ragazze che si sbracciavano cercando di attirare l’attenzione.
“Vai tu!” disse ridendo Naomi diretta alla sorella “Almeno sei intonata!”
“Ma non dirlo neanche per scherzo!” ribatté Belinda.
Ma Naomi e Annalisa si sbracciavano più forte e cominciarono ad indicarla in direzione della luce, che si fermò nei loro pressi, continuando a cercare.
Naomi prese allora la sua collana a forma di croce con strass e la usò come specchietto, attirando l’attenzione di Bill che indicò alla luce di spostarsi in quella direzione. Ottenuta l’attenzione, la ragazza indicò la sorella che cercava di abbassarsi per non essere visibile, ma senza successo.
“Oh, ma c’è una volontaria!” esclamò Bill “Va bene, ragazzi, fatela salire!” disse agli uomini della security.
Belinda scalciava e cercava di liberarsi dalle mani che si protendevano verso di lei, ma nessuno capiva che lei desiderava essere lasciata stare e scambiavano il suo agitarsi come una richiesta di aiuto per essere issata al di là della transenna.
Mentre le due ragazze ridevano a crepapelle, Belinda si ritrovò nell’area antistante al palco, con un boy della sicurezza che la sollevava come un fuscello e la metteva sul palco.
... continued ...

venerdì 29 ottobre 2010

Shopping!!

....

Più tardi, dopo qualche telefonata a casa per tranquillizzare le famiglie, visto che mancava ancora un po’ alla cena, decisero di far un giro nei dintorni per curiosare e controllare gli orari dei mezzi pubblici per potersi spostare nei giorni successivi.

Berlino al tramonto era un gioco di colori che si riflettevano sulle grandi facciate dei palazzi e negozi. Gli spazi architettonici, negli ultimi anni, erano stato ampliati e riempiti solo quel tanto da non sembrare spoglia, ma dando l’idea di non essere in città. La temperatura per fortuna era di poco più fresca rispetto all’Italia ed era piacevole passeggiare per le strade e godersi il chiacchiericcio “straniero” e il movimento delle persone.
Le ragazze seguivano curiose i dialoghi delle persone che incontravano, cercando di cogliere parole e accenti.
“Mi sento un’aliena … devo avere un accento buffissimo al loro confronto!” mormorò Naomi dopo aver seguito una conversazione tra due ragazzi di cui aveva compreso poco “E poi parlano troppo veloce!”
“Non credere che noi in italiano siamo meno veloci, anzi a volte arrotoliamo le parole e le leghiamo a quelle successive” le risposte Belinda “Mi ricordo che la prof di tedesco mi sgridava sempre dicendo che mangiavo le parole quando parlavo. Ho dovuto imparare a parlare più lentamente e cercando di pronunciare le parole fino all’ultima sillaba.”
“E vabbé, sembreremmo delle ragazze esotiche, che se la tirano un po’!” rise Annalisa, assumendo una posa stizzosa.
Entrarono in un megastore di libri e musica, dove passarono molto tempo a curiosare, ascoltare musica e cercare materiale che non si reperiva in Italia.
“Guarda questo poster dei Cinema Bizarre!” esclamò Naomi all’improvviso estraendo da un cestone una gigantesca foto “Mamma mia, che giacca stupenda che ha Strify!”
“Uhm … e guarda che occhi che ha Yu!” rispose la sorella avvicinandosi.
“Pussa via tu, li ho scoperti io!” le intimò l’altra, tirando via il poster.
“Ma io so imitare bene la voce di Luminor, carina!” rise Belinda facendole un versaccio.
“Appunto, sai imitare … lui ce l’ha in originale!” sbuffò Naomi.
“Un momento, ma non dovevamo cercare materiale dei Tokio Hotel?” si intromise Annalisa.
“E basta con ‘sti Toki cosi!” si spazientì Belinda “Non ne posso più! Riuscite a fare una conversazione senza che siano sempre nominati?”
“Eh sì, adesso fa la sprezzante, ma intanto ti ho sentita canticchiare la nuova canzone ‘Automatic’!” la riprese la sorella.
“E ci credo, ormai me la sogno anche di notte. E’ uscita si e no da una settimana e tu la mandi a palla dallo stereo per 24 ore al giorno!” sbuffò l’altra “Se non sto attenta, si salderà con il mio DNA!”
“Ma hai detto che il video ti piaceva!!” ribatté Naomi infilandosi il poster sottobraccio per portarlo alla cassa.
“Appunto, il video! Io adoro la fantascienza, mi piacciono i robot e mi ricordano molto il film di Will Smith ‘Io, Robot’. … Non credi che sia un po’ poco per dire che mi piacciono?”
“No, visto che hai detto che anche il testo non è male!” si intestardì la ragazza.
“E va bene, non è malvagio, … ma solo perché mi ricorda delle cose!” ammise “Ma questo non significa che anche se hanno fatto una canzone che non mi dispiace, mi possano piacere loro. Va bene ascoltarli, ma non vederli. Ecco, potrebbero tranquillamente cantare, ma senza fare concerti! Sarebbero delle autentiche star!”
“Tu non capisci niente di rock band!” le rispose stizzosa Naomi, mentre la sorella alzava sarcastica un sopracciglio.
“Eh già, perché quella che passava le notti a scrivere canzoni o in qualche equivoco locale per cantare, eri tu!”
“No, eri tu!” le concesse “Ma da quando hai smesso, non riesci più a guardarti in giro e ad ammettere che c’è del buono, oltre ai mostri sacri di cui canti le canzoni!”
“Santo cielo, Trilly, non stiamo parlando dei Green Day o gli U2! Stiamo parlando di una band che prima di cantare, si è fatta conoscere per come si vestiva! Hanno puntato molto sul look e poi sulla musica! Hanno dietro schiere di ragazzine dodicenni a cui non gliene frega nulla di quanto la voce di Bill sia bella, ma vogliono solo mettergli le mani addosso e poi vantarsene in giro!” la riprese Belinda.
“Ah no, Linda, non puoi dirlo senza averli ascoltati! Non hai sentito una sola canzone in tedesco, delle prime che hanno fatto. Sono testi molto belli … a te piace solo questa ultima canzone perché è più commerciale. Ma loro non fanno musica commerciale!” si accalorò Naomi “E non me ne frega nulla delle altre fans, perché io sono diversa!”
“Certo, perché loro vogliono solo portarselo a letto, mentre tu lo sposerai!” la canzonò la sorella “Ma non dovevi sposare Daniel Radcliffe, tu?”
“Certo che sposerò Daniel, ma Bill è un’altra cosa!” le rispose stizzita, mentre si allontanava verso uno scaffale di Cd musicali.
“Io starei attenta a non accanirmi contro Bill! Chissà, potresti davvero averlo come cognato!” le sussurrò ridendo Annalisa, voltandosi per seguire l’amica.
“Argh!” fece Belinda, incamminandosi nella direzione opposta.

Dopo qualche minuto, Naomi la raggiunse trafelata ed elettrizzata.

“Linda, oh mio dio …. Non ci posso credere … vieni devi vedere, presto!”
“Ma che succede?”
“Dai, muoviti, ti prego!” la strattonò verso un lungo banco in fondo al negozio.
“Ma mi vuoi spiegare? Cosa hai visto? Sta male Annalisa?” si preoccupò.
“No, no, tutto bene!” la rassicurò “Guarda!” trillò, indicando un angolo del bancone.
Belinda guardò in quella direzione, ma non comprese subito. Continuò a fissare inebetita un grande cartellone a sfondo grigio dove una mano meccanica teneva in bella mostra un cuore umano.
“Ma che schifo!” esclamò “Cos’è quella schifezza?”
“Ma come, amica dei robot!” la schernì la sorella “Quello è l’apocalisse della bellezza dell’umanità in un mondo di robot! E’ la locandina del tour dei Tokio Hotel”.
“Oh mio dio, no! Siamo arrivati a questo!” borbottò “Non se ne parla, quello non te lo porti a casa!”
“Ma chi parla del poster!” sbottò Naomi “Sto parlando del concerto, guarda le date!”
Belinda riportò lo sguardo al fondo del cartellone, dove in bella vista erano elencate le date del Tour e le città.
“Ma non ci sono date prossime in Italia!” esclamò.
“Oh, ma sei tonta forte, allora!” le disse Naomi “Domani sono qui, a Berlino!”
“E allora???”
Un improvviso flash la illuminò e si girò a guardare la sorella.
“No, non ci pensare neanche … Non ti permetterò di rovinarmi il primo giorno di vacanza!”
“Ma siamo qui … e quando ci capiterà più?” implorò Naomi.
“Ci sono altre 12 date, quindi ricapiterà ancora per altre 12 volte!!”
“Ma questo è un caso del destino! L’avresti detto tu, che oggi parte il tour, noi veniamo all’improvviso qui e proprio domani c’è il concerto?”
“Qualcosa mi dice che tu lo sapevi da molto prima di oggi, ecco perché hai rotto per due settimane!”
“No, te lo giuro, non lo sapevo … ma adesso sì!” e spalancò gli occhi nel guardarla.
“Non ci credo, la mia vita rovinata da uno che si chiama Bill come un cartone animato!” bofonchiò Belinda, coprendosi gli occhi con la mano “Tanto i biglietti saranno esauriti!”
“No, sarò esaurita io se non li trovo subito!” esclamò Naomi, mentre si fiondava al banco per chiedere informazioni.
Dopo qualche istante tornò indietro con gli occhi che brillavano.
“Ce ne sono ancora pochissimi, nel parterre! Dai, ci andiamo?”
“Non se ne parla neanche!” rifiutò la ragazza.
“Dai Linda, io il denaro ce l’ho per comprarli e lo farò. Ma mi farebbe piacere che non ci lasciassi da sole in mezzo a queste fans sconosciute e scatenate, in terra straniera!” la pungolò Naomi.
“Dovresti fare l’attrice, sentila!” la redarguì l’altra “Ma perché dovrei sorbirmi un concerto che non mi piace?”
“A chi piace la musica, piace tutta la musica” le rispose la ragazza “Dai, non puoi lasciarmi andare da sola, non sono del posto, potrei perdermi, farmi male … chi la sente poi la mamma?”
“Lo sapevo che eri una fonte di guai, ecco perché ti volevo a casa!”
“E’ un sì, vero?” rise l’altra.
Belinda si diresse all’uscita borbottando parolacce incomprensibili ai più, che la guardarono con leggera curiosità.
Dopo qualche minuto, mentre guardava in un’altra vetrina, alcune collane, la raggiunsero le due ragazze, con aria estasiata, parlottando tra loro.
“Eccoci qui, non mi sembra vero! Grazie, Linda, sei davvero la sorella migliore del mondo!” le dissero in coro.
Ancora ritrosa lei si girò a guardarle, ma non riusciva ad essere davvero arrabbiata.
Le capiva benissimo, ci era passata anche lei, quando aveva martellato il papà per andare a Milano ad un concerto dei Depeche Mode, finché lui non aveva acconsentito. E aveva comprato due biglietti, portando anche lui, per una serata e una notte di cui ricordava ancora tutti i dettagli.
Avevano cantato, urlato, pianto, cantato ancora e si erano persi in un momento che non era reale. La maglietta di Dave Gahan capeggiava ancora su una parete e il tagliando del biglietto era nel suo scrigno dei ricordi più belli.
“Non vorrete andare ad un concerto così conciate!” disse loro squadrandole con occhio critico.
“No! Dunque, io mi metto la maglia nera e … oddio, cosa posso mettere come pantaloni?” annaspò Naomi.
“Non sia mai che Georg possa pensare che sia una sciattona, la prima volta che mi vede!” le fece eco Annalisa, guardando la sua immagine nella vetrina.
Lei era cotta persa per il bassista dei Tokio Hotel e passava ore ad ammirare i bei capelli lunghi, le braccia possenti e i duelli verbali che il ragazzo aveva con Tom, l’altro chitarrista del gruppo e gemello di Bill.
Con un lampo furbesco negli occhi, Belinda tirò fuori la carta di credito argentea e disse: “Shopping?”
“Shoooppinnngggg!” le fecero eco le altre due, ridendo e battendo le mani.
Qualche ora più tardi, cariche di borse e ridendo come ebeti, tornarono in albergo, dove, dopo cena, fecero prove di vestiti e acconciature per il giorno dopo.

Il viaggio ...

....
Il treno partì fischiando dalla stazione di Torino in direzione Berlino, lasciandosi alle spalle persone che salutavano, dalla banchina, i viaggiatori che si allontanavano.

Belinda si sedette al suo posto con un sospiro, sperando che l’aria condizionata entrasse in funzione al più presto, visto che l’afa estiva si faceva sentire già dal mattino presto.
Era un bel mattino di fine giugno, il cielo era limpido, ma non c’era un filo di brezza.
Si perse a fissare dal finestrino il paesaggio cittadino che cominciava a sparire, lasciando il posto alle colline della provincia che erano di un verde brillante, punteggiate da chiazze di fiori colorati.
Una risatina sommessa la riportò alla realtà e si voltò a guardare le due ragazze sedute di fronte a lei, così diverse eppure così uguali.
Annalisa era bruna di capelli e di occhi, ma aveva un sorriso dolce e luminoso che le dava un’aria più giovane. Le stava sorridendo anche ora, mentre diceva:
“Grazie per aver convinto mio padre a farmi venire. Sai, lui non ama molto i tedeschi, visto che li incontra per lavoro e non era molto entusiasta all’idea che io andassi in Germania.”
“Non preoccuparti, per me è stata la soluzione migliore, così tu dai un’occhiata a questa fatina pazza mentre io sarò impegnata all’università.”
“Ma sei proprio decisa?” le chiese la ragazza.
“Ho bisogno di fare qualcosa di diverso e poi studiare lingue all’estero è quello che occorre, se voglio un giorno riuscire a trovare lavoro presso le Organizzazioni Umanitarie Internazionali!”
“Sì, è un bel progetto ma … la musica?”
“Niente più musica per un po’!” rispose secca la ragazza, mentre sentiva Naomi che sussurrava all’orecchio dell’amica “Non ha portato neanche la chitarra!”
Sì, niente musica per almeno un po’ di tempo!
Sentiva ancora tanto dolore a guardare la sua chitarra nell’angolo più remoto della camera, ma non riusciva a toccarla senza che terribili ricordi la sommergessero.
Eppure era passato quasi un anno da quando Alex era sparito … Sembrava una intera vita … e anche se non sobbalzava più nel sentire il suo nome, non cambiava marciapiede per non passare davanti alla sua casa, non abbassava la testa nell’incontrare per strada suoi amici e parenti, l’unica cosa che riusciva a farle male, era ascoltare la loro musica, cantare le loro canzoni, suonare quella chitarra.
Il viaggio nella sua anima era stato lungo e doloroso, ma non riusciva a rinascere dalle ceneri del suo dolore e tornare al suo amore per la musica.
Non riusciva a comporre, a suonare e meno ancora a cantare!
A volte si sorprendeva a canticchiare qualche jingle che passava alla radio, qualche sigla intrigante, ma nulla di più. La musica aveva eretto una tomba nel suo cuore e non sarebbe mai più tornata … vedeva solo ombre scure, echi di vecchie risate e sussurri che non erano più suoi.
Le canzoni erano chiuse in un cassetto, gli spartiti nascosti in soffitta e la chitarra languiva in un angolo, semicoperta da una sciarpa nera, quasi a richiamare il suo lutto. Anche il piccolo tatuaggio a forma di chiave musicale con le ali che aveva tatuato su un fianco, era ostinatamente coperto da magliette troppo lunghe.
Lentamente scivolò nel sonno e i pensieri bui si persero nel nulla.
Si svegliò qualche ora dopo a causa di un leggero scrollare: era sua sorella che le chiedeva se voleva mangiare qualcosa, visto che sarebbero arrivare nel giro di un’ora ed era meglio essere a stomaco pieno.
Borbottò qualcosa e si accinse a seguire le due ragazze nel vagone ristorante, dove prese un’insalata e della frutta, mentre le altre trangugiavano una montagna di cibo.
“Beata gioventù!” si disse guardandole, anche se sapeva che di anni di differenza ne avevano pochi.
Belinda doveva compiere venti anni a ottobre, mentre Naomi ne compiva sedici a settembre e Annalisa a dicembre. Ma per lei erano come un abisso e tendeva a considerarle ancora delle ragazzine, le cui uniche problematiche erano la scuola, i ragazzi, i vestiti.
A sedici anni Belinda già componeva musica e cantava nei locali fumosi dell’underground torinese, con una rock band, urlando tutta la sua rabbia e scatenandosi a ritmo di musica. Unica nota dolente, come la chiamavano gli amici ridendo, era che lei non aveva una vita spericolata e alle serate l’accompagnava il papà con la moto.
Però era forte sul palco, con la sua voce graffiante e suadente, non molto alta, ma che comunicava tutte le sfumature della musica rock.
Belinda aveva cominciato a suonare a otto anni la tastiera, ma l’amore per la chitarra era nata alle medie e non l’aveva più mollata. Quante volte i genitori la trovavano addormentata ai piedi del letto, abbracciata alla chitarra ….
Ma l’amore per Alex aveva rovinato tutto: la sua vita, la sua musica, i suoi sogni …
Con un sospiro ritornò alla realtà, riportando lo sguardo sulle ragazze, che stavano leccando dal cucchiaino l’ultimo pezzo di cioccolato del dolce che avevano preso.
“Se qualcuna di voi si sente male, la mollo al primo angolo di strada, intesi?” le riprese con uno sguardo di finto disgusto.
“Non ho mai vomitato in vita mia!” le rispose risentita Naomi, alzandosi per tornare alla loro carrozza.
Dopo qualche tempo, il treno entrò nella stazione di Berlino, tra lo stridere dei freni e il rumoreggiare dei viaggiatori.
Un altoparlante comunicò che il treno era arrivato in orario e si affrettarono a prendere i loro bagagli e scendere.
“E adesso ci facciamo quattro risate, nel cercare di capire cosa ci dicono e nel farci capire!” disse ridendo Annalisa.
Tutte parlavano il tedesco, Belinda e Naomi a causa della mamma che era di origine tedesche e quindi lo parlavano sin da piccole, l’amica avendolo studiato a scuola per quasi otto anni, anche se nessuna di loro lo aveva mai sperimentato in terra tedesca, e quindi con una lingua in continua evoluzione.
Uscirono fuori dalla stazione guardandosi intorno curiose ed ammirando la bellezza della città. Trovarono un taxi che le accompagnò in albergo dove avevano deciso di stare per qualche giorno, in attesa di recarsi poi a Potsdam dove era ubicata la sede universitaria del progetto di Belinda.
Alla reception trovarono tutto pronto e una sorridente ragazza bionda porse loro la chiave, augurando un piacevole soggiorno ed informandosi se erano interessate a prenotare la cena per la sera. Accettarono di buon grado e si recarono in camera per rinfrescarsi e depositare le loro cose.
“Bel posto!” esclamò Naomi entrando e buttandosi sul letto centrale della camera “Brava la mia sorellona, hai scelto proprio bene!”
“E che bella vista!” esclamò Annalisa, affacciandosi al balconcino che dava sulla strada, dalla quale si vedevano le stradine affollate e le vetrine illuminate.
“Sì, me lo ha consigliato una compagna universitaria che viene spesso a Berlino per studio, quindi siamo andate abbastanza sul sicuro!”
In effetti la camera era in ordine, pulita, spaziosa abbastanza per contenere tre letti singoli, un armadio, uno scrittoio e un bagno privato.
Le tende e i copriletti erano di un discreto colore arancio che davano colore a tutta la stanza.
“Ho proprio bisogno di una doccia!” esclamò Belinda “Posso andare per prima o qualcuna ha urgenza?”
“No, vai pure! Ti dobbiamo almeno questo, come ringraziamento!” le disse Annalisa, ridendo e sdraiandosi sul letto.
... continued ....

Comincia l'avventura ....

Capitolo 1


Il sole stava sorgendo e tra qualche attimo avrebbe illuminato i contorni della casa dai tetti rossi che Belinda ogni giorno vedeva dalla finestra della sua camera.
Le sagome delle cose erano sfocate, i suoni ovattati e i colori ancora leggermente velati di grigio. Si udivano i rumori dei carretti che andavano ad allestire il mercato della piazza, le prime auto che portavano le persone al lavoro e il discreto cinguettio dei canarini del vicino di casa.
In sottofondo, udiva il leggero russare di suo padre, che aveva fatto il turno di notte e sorrise tra sé: nessuno avrebbe pensato che quell’uomo grande e grosso avesse un cuore di burro e la sua leggera barba incolta e quel sopracciglio leggermente sbilenco, metteva parecchie persone in leggera ansia.
Belinda adorava suo padre, lo considerava uno spicchio della sua anima ed era orgogliosa ogni volta, che in un attacco di rabbia, la madre gli rinfacciava che era “tutta suo padre”, perché non mollava la sua posizione, era abbastanza rigida sulle sue idee e non sopportava sotterfugi e “trame da telenovelas”.
Anche se l’idea che fosse tutta suo padre strideva molto con la realtà: Michele Taddei era un uomo alto più di un metro e ottanta, capelli neri e occhi verdissimi, un sorriso che aleggiava sulle labbra e per nulla propenso ad alzare la voce o arrabbiarsi. Anzi, la sua calma proverbiale era un segnale che bisognava stare all’erta, che bisognava dosare bene le parole e i gesti, se si voleva ottenere un qualche risultato.
Belinda era di statura piccola, arrivava a stento al metro e sessanta, capelli castano dorati leggermente ondulati, occhi verde scuro, fisico esile e carattere ombroso. Era diffidente sin da piccola, studiava le persone prima di concedere un sorriso o una parola, anche se era molto legata alla madre a cui concedeva di conoscere il suo animo tormentato, i suoi dolori, i suoi sogni … erano molto in sintonia.
Queste caratteristiche avevano fruttato a Belinda il nomignolo affettuoso di “principessa Selena” che faceva riferimento al volto scuro della luna. Quando in famiglia qualcuno usava quel nome, significava che cominciava ad essere pesante da sopportare e in quel modo carino, le ricordavano di ritornare ad essere se stessa.
Il trillo leggero della sveglia le ricordò che quel giorno era un momento che aspettava da almeno un anno, anche se, adesso era in leggera agitazione.
Mentre si accingeva a tirarsi su, un leggero scalpiccìo di piedi l’avvertì che Naomi era in arrivo con tutta la sua carica di vitalità.
Belinda alzò gli occhi al cielo, respirò profondamente e si preparò ad affrontare la sorella minore nella migliore predisposizione d’animo.
In un secondo se la ritrovò sul letto, con i capelli arruffati, mezza addormentata, ma con il sorriso impertinente e tenero che aveva sempre per lei.
“No!” disse Belinda in modo categorico, guardandola seria.
“Ti prego!” miagolò Naomi, allargando il suo sorriso.
“Forse ti regalerò un dizionario così impari il significato delle parole!” sbuffò, alzandosi ed avviandosi verso il bagno.
“Me lo avevi promesso, però!” le rinfacciò l’altra con un tono petulante.
“Ti avevo promesso una gita, non un soggiorno in un campus tedesco. Io ci vado per pianificare i miei studi e capire se posso trasferirmi!” le ricordò Belinda sbuffando.
“Ma ti prometto che non sarò di peso, resterò buona in albergo ad aspettarti mentre tu sei al campus e se quando rientri non sei stanca, allora andremo a visitare la città!”
“Trilly, per favore! Non voglio visitare la città, … non me ne importa nulla! Voglio solo…”
“… scappare da Torino per un po’, lo so!” finì la frase Naomi.
“Non sto scappando da un bel nulla!” scattò Belinda girandosi per fronteggiare la sorella.
“Se lo dici tu…!” bofonchiò Naomi, alzandosi e mettendo il muso.
Belinda sentì dentro esplodere tutta la sua voglia di urlare: lei non stava scappando!
Aprì la porta del bagno con violenza e se la tirò dietro con tutta la forza, facendola sbattere.
Vi si appoggiò contro e fece un profondo respiro: non era giusto! Aveva spiegato varie volte a tutti questo suo desiderio di trasferirsi in Germania per un anno accademico per un progetto di scambio universitario e anche se aveva faticato un po’ con i genitori, alla fine avevano capito. Naomi invece l’aveva presa malissimo e non accennava a mollarla.
Belinda sapeva che sua sorella adorava tutto ciò che era tedesco da quando, un paio di anni prima, si era innamorata a prima vista di un gruppo di cantanti pop-rock tedeschi, i Tokio Hotel e del suo carismatico leader vocale.
Inoltre sua sorella sapeva benissimo che lei non amava andare in giro per negozi, musei, concerti e varie, ma si era ostinata ad accompagnarla nel viaggio, rincorrendola per una settimana e promettendole le cose più assurde, se l’avesse portata.
Un leggero bussare alla porta la fece sobbalzare e dire seccamente:
“Posso avere qualche minuto di privacy?”
“Sono io!” disse una voce calda e tranquilla al di là della porta.
Quelle due parole, pronunciate così chetamente, le fecero sbollire la rabbia e aprì la porta quasi immediatamente.
Si ritrovò davanti un viso di donna che sarebbe potuto essere il suo tra vent’anni, la cui unica differenza erano gli occhi, di un nocciola scuro, brillanti e vivaci.
“Non prendere le sue difese!” le disse puntando un dito con aria difensiva.
“Non ci penso proprio!” le rispose la donna, ridendo “Volevo solo sapere se stavi bene e se volevi un cappuccino prima di andare via!”
“Sì …, si grazie!” mormorò Belinda, sospirando.
Tracy sorrise aprendo la porta e mentre usciva, le sussurrò:
“Trilly è in agitazione perché non ti vuole perdere ancora e preferisce starti vicina perché ti vuole bene! Non avercela con lei!” e, uscendo, si chiuse la porta alle spalle.
Trilly! Belinda fece un sorriso affettuoso pensando al nomignolo che aveva affibbiato alla sorella quando era nata perché la sua risata le ricordava un trillare di campanelle. Ed in effetti Naomi aveva sempre un sorriso pronto, due occhi verdi e brillanti, una capigliatura riccia e bionda e un carattere molto affettuoso. E poi aveva un grande cuore, sempre pronta ad aiutare, ascoltare e farsi in quattro per gli altri.
Le venne in mente l’immagine di Naomi diversi mesi prima, accoccolata ai piedi del suo letto, mentre le canticchiava una nenia per consolarla del suo dolore e le accarezzava una mano.
Le si strinse il cuore e una folata fredda le attraversò la schiena … “Basta!” si disse e aprì l’acqua fredda per sciacquarsi il viso.
Dopo qualche minuto si diresse in camera sua per vestirsi e mentre passava accanto alla cucina, scorse Naomi intenta a scrivere sms alla sua amica del cuore, con aria abbacchiata.
Indossò un paio di jeans, una t-shirt, le sue comode scarpe da ginnastica e legò i capelli in una coda, passandosi un sottile filo di matita agli occhi.
Diede un’occhiata al trolley pronto in un angolo, alla sua giacca di pelle e sospirò.
Inutile, quella piccola strega aveva vinto ancora una volta … altro che fata!
Tornò in cucina, si sedette su uno sgabello al banco e gettò un’occhiata alla ragazza bionda, che fingeva di non averla vista e si ostinava a pigiare i tasti sul telefonino.
“Visto che ci sei, dì ad Annalisa che le do’ solo mezz’ora per preparare la valigia, che sia leggera e che sia pronta sulla porta di casa quando passiamo!” disse sorridendo, mentre addentava un pezzo di muffin al cioccolato.
Il trillo di campanelli risuonò nella cucina ed era la risata di Naomi mentre si sollevava dalla sedia, abbracciava la sorella, le schioccava un sonoro bacio sulla guancia e si precipitava a vestirsi, inviando a velocità supersonica un messaggio all’amica del cuore.
Il sorriso di Belinda si allargò e sentì una dolce carezza sul cuore, mentre guardava negli occhi sua mamma, che continuò a versare il caffè nella tazza con un sorriso complice.
“E se non fa la brava, potrai sempre punirla, tagliandole i fondi da spendere!” le disse alludendo alla mania di shopping che aveva Naomi.

... continued ...

Eccomi qua!!

Bene, ho deciso di postare in versione integrale il primo capitolo del mio libro dedicato ai Tokio ... Sarà una bella esperienza capire se possa piacere questo genere di racconto e darmi delle idee per quanto riguarda il secondo episodio.
Se vi va di leggere e commentare, tutto è gradito!
La copertina, con cui non andrà mai in stampa, per ovvi problemi di copyright è la seguente ... spero possa piacervi!


Se invece vi va di seguire anche la storia in versione post, sono a questo indirizzo su Facebook!

A presto
Tracy

giovedì 30 settembre 2010

Woman at work ...

Non ho smesso di scrivere, anzi! Oggi più che mai sono impegnata alla 'revisione del mio libro' cercando sempre disperatamente di convincere qualche editore che una storia scritta sui TH valga la pena di leggerla.
Chissà! .. forse sono io che non so scrivere ...
Ma sto collaborando attivamente, sostenendo e contenendo il 'mio amico Tom' nell'arricchimento della sua pagina, su Facebook!
http://www.facebook.com/pages/La-vita-secondo-Tom-K/135879149775648
Speriamo di limitare i danni ...
a presto
Tracy!

martedì 13 luglio 2010

Dentro una canzone ...

Non volevo conoscerti, non volevo sapere ...

Eppure forzatamente sei entrato nella mia vita.
Siamo distanti una generazione,
ma qualche strano disegno ti ha portato da me.
Ti ero riconoscente perché avevi donato tanta gioia di vivere,
a chi per me era la vita … e volevo che rimanessi lì, eppure …
Di prepotenza, quasi con crudeltà, quel tuo video mi è stato imposto
Quella tua maledetta canzone che ancora continua a tormentare la mia anima:
Don’t jump!
Non conosco bene l’inglese, non so neanche cosa tu volessi dire
O cosa rappresentasse per te, ma so cosa hai fatto di me.
E’ partito il video e io lo fissavo distratta … cosa poteva darmi?
La prima scena: tu arrivi, sali su quel maledetto parapetto ..
La mia anima è esplosa: milioni di frecce l’hanno attraversata
Ancora prima che partisse la musica.
Lo squarcio su un passato dimenticato si è aperto
Come una voragine, risucchiandomi e trascinandomi lassù
Su quel dannato muro, ombra indelebile della mia adolescenza.
Io ci sono stata, sai? Esattamente come te!
17 anni, dolorosi, maledetti, dove tutto ti appare gigantesco,
dove la solitudine crea un baratro e la comunicazione con gli altri si interrompe …
Io ero lì, un giorno di fine estate .. jeans, maglietta, capelli sciolti al vento.
Un solo passo e sono salita .. un solo passo e sarebbe finita!
E tu canti .. giri nelle tue mani il mio cuore, accarezzi l’anima ferita,
culli il mio dolore con la tua voce, ma …
quel giorno tu non c’eri!
Nessuno ha chiesto di non saltare, nessuno ha detto che l’avrebbe fatto per me!
E le lacrime scendono, il dolore si rinnova, il rombo in mezzo al petto
è di nuovo vivo …
C’era il suono dell’acqua, dolce, che chiamava e che avrebbe placato
quel vuoto assordante che c’era dentro di me ..
Sarebbe stato un attimo, un passo … ma … qualcuno c’è stato!
Una voce, sconosciuta, bassa, intensa, che senza forzature e senza cercare di convincermi
mi ha solo detto “Devi avere un ottimo motivo per saltare, ma due buoni per rimanere!”
Mi sono girata, sconvolta, arrabbiata per essere stata strappata
dalla magia ipnotica delle onde …
Non c’era nessuno … ero sola, con il vento tra i capelli e la domanda ferma lì!
Ho respirato, ho trovato i motivi .. e sono scesa, allontanandomi senza girarmi indietro!
E ora qui, a ritrovarci dentro una canzone, scritta chissà per chi,
chissà per quale motivo, che mi ricorda che un pezzo di me è rimasto lì,
su quel ponte, sospeso, in attesa di trovare risposta …
Ci guardiamo al di là del tempo, sapendo che tu sai, che tu conosci il dolore
di un’età difficile, così come io conosco quello sguardo perso nel vuoto …
‘Non saltare ..’ non mi avrebbe fermato, lo sai?
‘Salterò per te!’ mi ha trattenuta, sai?
Ritornerò, in un giorno di fine estate, a riprendere una parte di me
che mi ha permesso di rimanere quella che ero, dentro:
fragile, forte, rabbiosa ma consapevole che io sono quella!
Non sono cresciuta molto da allora, sai?
Il sorriso è lo stesso, la rabbia pure, e la voglia di urlare e non smettere mai …
Grazie di avermi riportato … quella profonda parte di me!

Do you know them?

Idoli dei giovanissimi, etichettati in mille modi, da rock a pop ad emo, sono comunque riusciti a lasciare un segno nel panorama musicale moderno.
Per chi non li conoscesse, sto parlando dei Tokio Hotel ... Motivo??
Hanno tormentato i miei sogni, sollecitati da figlia adolescente in delirio musicale, che dopo avermeli somministrati nei modi più impossibili (a ruota libera, 24 ore al giorno, con 'repeat' incollato ... sigh!), ha aperto loro la porta per l'altra dimensione, ossia quella dei miei sogni, dove hanno bivaccato, suonato, sognato e sono cresciuti.
E così nascono storie che li vedono protagonisti, come il mio primo romanzo, stile Fan Fiction, molto lungo e articolato, che ha fatto venire fuori episodi, ricordi, persone che credevo dimenticati, fondendoli in un labirinto di emozioni che mi ha molto divertito.
Inserirò pian piano le loro avventure, sperando, come lo è stato per me, che possano portare beneficio anche agli altri ... ragazzi, giovani, adulti ... insomma, tutti quelli che sono disposti a farsi regalare un'emozione!
Tokio kiss

Debutto ...

Bene, bene ... cominciamo questo nuovo blog, inserendo quelli che sono i miei 'debug mentali', ossia i miei racconti, le mie poesie, i pensieri in libertà e tutto quello che mi fa evadere da questa realtà che sento sempre più distante!
Ok, non saranno di interesse pubblico, ma mi fanno stare bene, mi fanno sorridere e quindi ... mi fanno vivere!
Buona navigazione!