Dream island!

Questo è un porto sicuro, dove si rispetta ogni essere vivente: ben arrivato, straniero!

venerdì 29 ottobre 2010

Shopping!!

....

Più tardi, dopo qualche telefonata a casa per tranquillizzare le famiglie, visto che mancava ancora un po’ alla cena, decisero di far un giro nei dintorni per curiosare e controllare gli orari dei mezzi pubblici per potersi spostare nei giorni successivi.

Berlino al tramonto era un gioco di colori che si riflettevano sulle grandi facciate dei palazzi e negozi. Gli spazi architettonici, negli ultimi anni, erano stato ampliati e riempiti solo quel tanto da non sembrare spoglia, ma dando l’idea di non essere in città. La temperatura per fortuna era di poco più fresca rispetto all’Italia ed era piacevole passeggiare per le strade e godersi il chiacchiericcio “straniero” e il movimento delle persone.
Le ragazze seguivano curiose i dialoghi delle persone che incontravano, cercando di cogliere parole e accenti.
“Mi sento un’aliena … devo avere un accento buffissimo al loro confronto!” mormorò Naomi dopo aver seguito una conversazione tra due ragazzi di cui aveva compreso poco “E poi parlano troppo veloce!”
“Non credere che noi in italiano siamo meno veloci, anzi a volte arrotoliamo le parole e le leghiamo a quelle successive” le risposte Belinda “Mi ricordo che la prof di tedesco mi sgridava sempre dicendo che mangiavo le parole quando parlavo. Ho dovuto imparare a parlare più lentamente e cercando di pronunciare le parole fino all’ultima sillaba.”
“E vabbé, sembreremmo delle ragazze esotiche, che se la tirano un po’!” rise Annalisa, assumendo una posa stizzosa.
Entrarono in un megastore di libri e musica, dove passarono molto tempo a curiosare, ascoltare musica e cercare materiale che non si reperiva in Italia.
“Guarda questo poster dei Cinema Bizarre!” esclamò Naomi all’improvviso estraendo da un cestone una gigantesca foto “Mamma mia, che giacca stupenda che ha Strify!”
“Uhm … e guarda che occhi che ha Yu!” rispose la sorella avvicinandosi.
“Pussa via tu, li ho scoperti io!” le intimò l’altra, tirando via il poster.
“Ma io so imitare bene la voce di Luminor, carina!” rise Belinda facendole un versaccio.
“Appunto, sai imitare … lui ce l’ha in originale!” sbuffò Naomi.
“Un momento, ma non dovevamo cercare materiale dei Tokio Hotel?” si intromise Annalisa.
“E basta con ‘sti Toki cosi!” si spazientì Belinda “Non ne posso più! Riuscite a fare una conversazione senza che siano sempre nominati?”
“Eh sì, adesso fa la sprezzante, ma intanto ti ho sentita canticchiare la nuova canzone ‘Automatic’!” la riprese la sorella.
“E ci credo, ormai me la sogno anche di notte. E’ uscita si e no da una settimana e tu la mandi a palla dallo stereo per 24 ore al giorno!” sbuffò l’altra “Se non sto attenta, si salderà con il mio DNA!”
“Ma hai detto che il video ti piaceva!!” ribatté Naomi infilandosi il poster sottobraccio per portarlo alla cassa.
“Appunto, il video! Io adoro la fantascienza, mi piacciono i robot e mi ricordano molto il film di Will Smith ‘Io, Robot’. … Non credi che sia un po’ poco per dire che mi piacciono?”
“No, visto che hai detto che anche il testo non è male!” si intestardì la ragazza.
“E va bene, non è malvagio, … ma solo perché mi ricorda delle cose!” ammise “Ma questo non significa che anche se hanno fatto una canzone che non mi dispiace, mi possano piacere loro. Va bene ascoltarli, ma non vederli. Ecco, potrebbero tranquillamente cantare, ma senza fare concerti! Sarebbero delle autentiche star!”
“Tu non capisci niente di rock band!” le rispose stizzosa Naomi, mentre la sorella alzava sarcastica un sopracciglio.
“Eh già, perché quella che passava le notti a scrivere canzoni o in qualche equivoco locale per cantare, eri tu!”
“No, eri tu!” le concesse “Ma da quando hai smesso, non riesci più a guardarti in giro e ad ammettere che c’è del buono, oltre ai mostri sacri di cui canti le canzoni!”
“Santo cielo, Trilly, non stiamo parlando dei Green Day o gli U2! Stiamo parlando di una band che prima di cantare, si è fatta conoscere per come si vestiva! Hanno puntato molto sul look e poi sulla musica! Hanno dietro schiere di ragazzine dodicenni a cui non gliene frega nulla di quanto la voce di Bill sia bella, ma vogliono solo mettergli le mani addosso e poi vantarsene in giro!” la riprese Belinda.
“Ah no, Linda, non puoi dirlo senza averli ascoltati! Non hai sentito una sola canzone in tedesco, delle prime che hanno fatto. Sono testi molto belli … a te piace solo questa ultima canzone perché è più commerciale. Ma loro non fanno musica commerciale!” si accalorò Naomi “E non me ne frega nulla delle altre fans, perché io sono diversa!”
“Certo, perché loro vogliono solo portarselo a letto, mentre tu lo sposerai!” la canzonò la sorella “Ma non dovevi sposare Daniel Radcliffe, tu?”
“Certo che sposerò Daniel, ma Bill è un’altra cosa!” le rispose stizzita, mentre si allontanava verso uno scaffale di Cd musicali.
“Io starei attenta a non accanirmi contro Bill! Chissà, potresti davvero averlo come cognato!” le sussurrò ridendo Annalisa, voltandosi per seguire l’amica.
“Argh!” fece Belinda, incamminandosi nella direzione opposta.

Dopo qualche minuto, Naomi la raggiunse trafelata ed elettrizzata.

“Linda, oh mio dio …. Non ci posso credere … vieni devi vedere, presto!”
“Ma che succede?”
“Dai, muoviti, ti prego!” la strattonò verso un lungo banco in fondo al negozio.
“Ma mi vuoi spiegare? Cosa hai visto? Sta male Annalisa?” si preoccupò.
“No, no, tutto bene!” la rassicurò “Guarda!” trillò, indicando un angolo del bancone.
Belinda guardò in quella direzione, ma non comprese subito. Continuò a fissare inebetita un grande cartellone a sfondo grigio dove una mano meccanica teneva in bella mostra un cuore umano.
“Ma che schifo!” esclamò “Cos’è quella schifezza?”
“Ma come, amica dei robot!” la schernì la sorella “Quello è l’apocalisse della bellezza dell’umanità in un mondo di robot! E’ la locandina del tour dei Tokio Hotel”.
“Oh mio dio, no! Siamo arrivati a questo!” borbottò “Non se ne parla, quello non te lo porti a casa!”
“Ma chi parla del poster!” sbottò Naomi “Sto parlando del concerto, guarda le date!”
Belinda riportò lo sguardo al fondo del cartellone, dove in bella vista erano elencate le date del Tour e le città.
“Ma non ci sono date prossime in Italia!” esclamò.
“Oh, ma sei tonta forte, allora!” le disse Naomi “Domani sono qui, a Berlino!”
“E allora???”
Un improvviso flash la illuminò e si girò a guardare la sorella.
“No, non ci pensare neanche … Non ti permetterò di rovinarmi il primo giorno di vacanza!”
“Ma siamo qui … e quando ci capiterà più?” implorò Naomi.
“Ci sono altre 12 date, quindi ricapiterà ancora per altre 12 volte!!”
“Ma questo è un caso del destino! L’avresti detto tu, che oggi parte il tour, noi veniamo all’improvviso qui e proprio domani c’è il concerto?”
“Qualcosa mi dice che tu lo sapevi da molto prima di oggi, ecco perché hai rotto per due settimane!”
“No, te lo giuro, non lo sapevo … ma adesso sì!” e spalancò gli occhi nel guardarla.
“Non ci credo, la mia vita rovinata da uno che si chiama Bill come un cartone animato!” bofonchiò Belinda, coprendosi gli occhi con la mano “Tanto i biglietti saranno esauriti!”
“No, sarò esaurita io se non li trovo subito!” esclamò Naomi, mentre si fiondava al banco per chiedere informazioni.
Dopo qualche istante tornò indietro con gli occhi che brillavano.
“Ce ne sono ancora pochissimi, nel parterre! Dai, ci andiamo?”
“Non se ne parla neanche!” rifiutò la ragazza.
“Dai Linda, io il denaro ce l’ho per comprarli e lo farò. Ma mi farebbe piacere che non ci lasciassi da sole in mezzo a queste fans sconosciute e scatenate, in terra straniera!” la pungolò Naomi.
“Dovresti fare l’attrice, sentila!” la redarguì l’altra “Ma perché dovrei sorbirmi un concerto che non mi piace?”
“A chi piace la musica, piace tutta la musica” le rispose la ragazza “Dai, non puoi lasciarmi andare da sola, non sono del posto, potrei perdermi, farmi male … chi la sente poi la mamma?”
“Lo sapevo che eri una fonte di guai, ecco perché ti volevo a casa!”
“E’ un sì, vero?” rise l’altra.
Belinda si diresse all’uscita borbottando parolacce incomprensibili ai più, che la guardarono con leggera curiosità.
Dopo qualche minuto, mentre guardava in un’altra vetrina, alcune collane, la raggiunsero le due ragazze, con aria estasiata, parlottando tra loro.
“Eccoci qui, non mi sembra vero! Grazie, Linda, sei davvero la sorella migliore del mondo!” le dissero in coro.
Ancora ritrosa lei si girò a guardarle, ma non riusciva ad essere davvero arrabbiata.
Le capiva benissimo, ci era passata anche lei, quando aveva martellato il papà per andare a Milano ad un concerto dei Depeche Mode, finché lui non aveva acconsentito. E aveva comprato due biglietti, portando anche lui, per una serata e una notte di cui ricordava ancora tutti i dettagli.
Avevano cantato, urlato, pianto, cantato ancora e si erano persi in un momento che non era reale. La maglietta di Dave Gahan capeggiava ancora su una parete e il tagliando del biglietto era nel suo scrigno dei ricordi più belli.
“Non vorrete andare ad un concerto così conciate!” disse loro squadrandole con occhio critico.
“No! Dunque, io mi metto la maglia nera e … oddio, cosa posso mettere come pantaloni?” annaspò Naomi.
“Non sia mai che Georg possa pensare che sia una sciattona, la prima volta che mi vede!” le fece eco Annalisa, guardando la sua immagine nella vetrina.
Lei era cotta persa per il bassista dei Tokio Hotel e passava ore ad ammirare i bei capelli lunghi, le braccia possenti e i duelli verbali che il ragazzo aveva con Tom, l’altro chitarrista del gruppo e gemello di Bill.
Con un lampo furbesco negli occhi, Belinda tirò fuori la carta di credito argentea e disse: “Shopping?”
“Shoooppinnngggg!” le fecero eco le altre due, ridendo e battendo le mani.
Qualche ora più tardi, cariche di borse e ridendo come ebeti, tornarono in albergo, dove, dopo cena, fecero prove di vestiti e acconciature per il giorno dopo.

Il viaggio ...

....
Il treno partì fischiando dalla stazione di Torino in direzione Berlino, lasciandosi alle spalle persone che salutavano, dalla banchina, i viaggiatori che si allontanavano.

Belinda si sedette al suo posto con un sospiro, sperando che l’aria condizionata entrasse in funzione al più presto, visto che l’afa estiva si faceva sentire già dal mattino presto.
Era un bel mattino di fine giugno, il cielo era limpido, ma non c’era un filo di brezza.
Si perse a fissare dal finestrino il paesaggio cittadino che cominciava a sparire, lasciando il posto alle colline della provincia che erano di un verde brillante, punteggiate da chiazze di fiori colorati.
Una risatina sommessa la riportò alla realtà e si voltò a guardare le due ragazze sedute di fronte a lei, così diverse eppure così uguali.
Annalisa era bruna di capelli e di occhi, ma aveva un sorriso dolce e luminoso che le dava un’aria più giovane. Le stava sorridendo anche ora, mentre diceva:
“Grazie per aver convinto mio padre a farmi venire. Sai, lui non ama molto i tedeschi, visto che li incontra per lavoro e non era molto entusiasta all’idea che io andassi in Germania.”
“Non preoccuparti, per me è stata la soluzione migliore, così tu dai un’occhiata a questa fatina pazza mentre io sarò impegnata all’università.”
“Ma sei proprio decisa?” le chiese la ragazza.
“Ho bisogno di fare qualcosa di diverso e poi studiare lingue all’estero è quello che occorre, se voglio un giorno riuscire a trovare lavoro presso le Organizzazioni Umanitarie Internazionali!”
“Sì, è un bel progetto ma … la musica?”
“Niente più musica per un po’!” rispose secca la ragazza, mentre sentiva Naomi che sussurrava all’orecchio dell’amica “Non ha portato neanche la chitarra!”
Sì, niente musica per almeno un po’ di tempo!
Sentiva ancora tanto dolore a guardare la sua chitarra nell’angolo più remoto della camera, ma non riusciva a toccarla senza che terribili ricordi la sommergessero.
Eppure era passato quasi un anno da quando Alex era sparito … Sembrava una intera vita … e anche se non sobbalzava più nel sentire il suo nome, non cambiava marciapiede per non passare davanti alla sua casa, non abbassava la testa nell’incontrare per strada suoi amici e parenti, l’unica cosa che riusciva a farle male, era ascoltare la loro musica, cantare le loro canzoni, suonare quella chitarra.
Il viaggio nella sua anima era stato lungo e doloroso, ma non riusciva a rinascere dalle ceneri del suo dolore e tornare al suo amore per la musica.
Non riusciva a comporre, a suonare e meno ancora a cantare!
A volte si sorprendeva a canticchiare qualche jingle che passava alla radio, qualche sigla intrigante, ma nulla di più. La musica aveva eretto una tomba nel suo cuore e non sarebbe mai più tornata … vedeva solo ombre scure, echi di vecchie risate e sussurri che non erano più suoi.
Le canzoni erano chiuse in un cassetto, gli spartiti nascosti in soffitta e la chitarra languiva in un angolo, semicoperta da una sciarpa nera, quasi a richiamare il suo lutto. Anche il piccolo tatuaggio a forma di chiave musicale con le ali che aveva tatuato su un fianco, era ostinatamente coperto da magliette troppo lunghe.
Lentamente scivolò nel sonno e i pensieri bui si persero nel nulla.
Si svegliò qualche ora dopo a causa di un leggero scrollare: era sua sorella che le chiedeva se voleva mangiare qualcosa, visto che sarebbero arrivare nel giro di un’ora ed era meglio essere a stomaco pieno.
Borbottò qualcosa e si accinse a seguire le due ragazze nel vagone ristorante, dove prese un’insalata e della frutta, mentre le altre trangugiavano una montagna di cibo.
“Beata gioventù!” si disse guardandole, anche se sapeva che di anni di differenza ne avevano pochi.
Belinda doveva compiere venti anni a ottobre, mentre Naomi ne compiva sedici a settembre e Annalisa a dicembre. Ma per lei erano come un abisso e tendeva a considerarle ancora delle ragazzine, le cui uniche problematiche erano la scuola, i ragazzi, i vestiti.
A sedici anni Belinda già componeva musica e cantava nei locali fumosi dell’underground torinese, con una rock band, urlando tutta la sua rabbia e scatenandosi a ritmo di musica. Unica nota dolente, come la chiamavano gli amici ridendo, era che lei non aveva una vita spericolata e alle serate l’accompagnava il papà con la moto.
Però era forte sul palco, con la sua voce graffiante e suadente, non molto alta, ma che comunicava tutte le sfumature della musica rock.
Belinda aveva cominciato a suonare a otto anni la tastiera, ma l’amore per la chitarra era nata alle medie e non l’aveva più mollata. Quante volte i genitori la trovavano addormentata ai piedi del letto, abbracciata alla chitarra ….
Ma l’amore per Alex aveva rovinato tutto: la sua vita, la sua musica, i suoi sogni …
Con un sospiro ritornò alla realtà, riportando lo sguardo sulle ragazze, che stavano leccando dal cucchiaino l’ultimo pezzo di cioccolato del dolce che avevano preso.
“Se qualcuna di voi si sente male, la mollo al primo angolo di strada, intesi?” le riprese con uno sguardo di finto disgusto.
“Non ho mai vomitato in vita mia!” le rispose risentita Naomi, alzandosi per tornare alla loro carrozza.
Dopo qualche tempo, il treno entrò nella stazione di Berlino, tra lo stridere dei freni e il rumoreggiare dei viaggiatori.
Un altoparlante comunicò che il treno era arrivato in orario e si affrettarono a prendere i loro bagagli e scendere.
“E adesso ci facciamo quattro risate, nel cercare di capire cosa ci dicono e nel farci capire!” disse ridendo Annalisa.
Tutte parlavano il tedesco, Belinda e Naomi a causa della mamma che era di origine tedesche e quindi lo parlavano sin da piccole, l’amica avendolo studiato a scuola per quasi otto anni, anche se nessuna di loro lo aveva mai sperimentato in terra tedesca, e quindi con una lingua in continua evoluzione.
Uscirono fuori dalla stazione guardandosi intorno curiose ed ammirando la bellezza della città. Trovarono un taxi che le accompagnò in albergo dove avevano deciso di stare per qualche giorno, in attesa di recarsi poi a Potsdam dove era ubicata la sede universitaria del progetto di Belinda.
Alla reception trovarono tutto pronto e una sorridente ragazza bionda porse loro la chiave, augurando un piacevole soggiorno ed informandosi se erano interessate a prenotare la cena per la sera. Accettarono di buon grado e si recarono in camera per rinfrescarsi e depositare le loro cose.
“Bel posto!” esclamò Naomi entrando e buttandosi sul letto centrale della camera “Brava la mia sorellona, hai scelto proprio bene!”
“E che bella vista!” esclamò Annalisa, affacciandosi al balconcino che dava sulla strada, dalla quale si vedevano le stradine affollate e le vetrine illuminate.
“Sì, me lo ha consigliato una compagna universitaria che viene spesso a Berlino per studio, quindi siamo andate abbastanza sul sicuro!”
In effetti la camera era in ordine, pulita, spaziosa abbastanza per contenere tre letti singoli, un armadio, uno scrittoio e un bagno privato.
Le tende e i copriletti erano di un discreto colore arancio che davano colore a tutta la stanza.
“Ho proprio bisogno di una doccia!” esclamò Belinda “Posso andare per prima o qualcuna ha urgenza?”
“No, vai pure! Ti dobbiamo almeno questo, come ringraziamento!” le disse Annalisa, ridendo e sdraiandosi sul letto.
... continued ....

Comincia l'avventura ....

Capitolo 1


Il sole stava sorgendo e tra qualche attimo avrebbe illuminato i contorni della casa dai tetti rossi che Belinda ogni giorno vedeva dalla finestra della sua camera.
Le sagome delle cose erano sfocate, i suoni ovattati e i colori ancora leggermente velati di grigio. Si udivano i rumori dei carretti che andavano ad allestire il mercato della piazza, le prime auto che portavano le persone al lavoro e il discreto cinguettio dei canarini del vicino di casa.
In sottofondo, udiva il leggero russare di suo padre, che aveva fatto il turno di notte e sorrise tra sé: nessuno avrebbe pensato che quell’uomo grande e grosso avesse un cuore di burro e la sua leggera barba incolta e quel sopracciglio leggermente sbilenco, metteva parecchie persone in leggera ansia.
Belinda adorava suo padre, lo considerava uno spicchio della sua anima ed era orgogliosa ogni volta, che in un attacco di rabbia, la madre gli rinfacciava che era “tutta suo padre”, perché non mollava la sua posizione, era abbastanza rigida sulle sue idee e non sopportava sotterfugi e “trame da telenovelas”.
Anche se l’idea che fosse tutta suo padre strideva molto con la realtà: Michele Taddei era un uomo alto più di un metro e ottanta, capelli neri e occhi verdissimi, un sorriso che aleggiava sulle labbra e per nulla propenso ad alzare la voce o arrabbiarsi. Anzi, la sua calma proverbiale era un segnale che bisognava stare all’erta, che bisognava dosare bene le parole e i gesti, se si voleva ottenere un qualche risultato.
Belinda era di statura piccola, arrivava a stento al metro e sessanta, capelli castano dorati leggermente ondulati, occhi verde scuro, fisico esile e carattere ombroso. Era diffidente sin da piccola, studiava le persone prima di concedere un sorriso o una parola, anche se era molto legata alla madre a cui concedeva di conoscere il suo animo tormentato, i suoi dolori, i suoi sogni … erano molto in sintonia.
Queste caratteristiche avevano fruttato a Belinda il nomignolo affettuoso di “principessa Selena” che faceva riferimento al volto scuro della luna. Quando in famiglia qualcuno usava quel nome, significava che cominciava ad essere pesante da sopportare e in quel modo carino, le ricordavano di ritornare ad essere se stessa.
Il trillo leggero della sveglia le ricordò che quel giorno era un momento che aspettava da almeno un anno, anche se, adesso era in leggera agitazione.
Mentre si accingeva a tirarsi su, un leggero scalpiccìo di piedi l’avvertì che Naomi era in arrivo con tutta la sua carica di vitalità.
Belinda alzò gli occhi al cielo, respirò profondamente e si preparò ad affrontare la sorella minore nella migliore predisposizione d’animo.
In un secondo se la ritrovò sul letto, con i capelli arruffati, mezza addormentata, ma con il sorriso impertinente e tenero che aveva sempre per lei.
“No!” disse Belinda in modo categorico, guardandola seria.
“Ti prego!” miagolò Naomi, allargando il suo sorriso.
“Forse ti regalerò un dizionario così impari il significato delle parole!” sbuffò, alzandosi ed avviandosi verso il bagno.
“Me lo avevi promesso, però!” le rinfacciò l’altra con un tono petulante.
“Ti avevo promesso una gita, non un soggiorno in un campus tedesco. Io ci vado per pianificare i miei studi e capire se posso trasferirmi!” le ricordò Belinda sbuffando.
“Ma ti prometto che non sarò di peso, resterò buona in albergo ad aspettarti mentre tu sei al campus e se quando rientri non sei stanca, allora andremo a visitare la città!”
“Trilly, per favore! Non voglio visitare la città, … non me ne importa nulla! Voglio solo…”
“… scappare da Torino per un po’, lo so!” finì la frase Naomi.
“Non sto scappando da un bel nulla!” scattò Belinda girandosi per fronteggiare la sorella.
“Se lo dici tu…!” bofonchiò Naomi, alzandosi e mettendo il muso.
Belinda sentì dentro esplodere tutta la sua voglia di urlare: lei non stava scappando!
Aprì la porta del bagno con violenza e se la tirò dietro con tutta la forza, facendola sbattere.
Vi si appoggiò contro e fece un profondo respiro: non era giusto! Aveva spiegato varie volte a tutti questo suo desiderio di trasferirsi in Germania per un anno accademico per un progetto di scambio universitario e anche se aveva faticato un po’ con i genitori, alla fine avevano capito. Naomi invece l’aveva presa malissimo e non accennava a mollarla.
Belinda sapeva che sua sorella adorava tutto ciò che era tedesco da quando, un paio di anni prima, si era innamorata a prima vista di un gruppo di cantanti pop-rock tedeschi, i Tokio Hotel e del suo carismatico leader vocale.
Inoltre sua sorella sapeva benissimo che lei non amava andare in giro per negozi, musei, concerti e varie, ma si era ostinata ad accompagnarla nel viaggio, rincorrendola per una settimana e promettendole le cose più assurde, se l’avesse portata.
Un leggero bussare alla porta la fece sobbalzare e dire seccamente:
“Posso avere qualche minuto di privacy?”
“Sono io!” disse una voce calda e tranquilla al di là della porta.
Quelle due parole, pronunciate così chetamente, le fecero sbollire la rabbia e aprì la porta quasi immediatamente.
Si ritrovò davanti un viso di donna che sarebbe potuto essere il suo tra vent’anni, la cui unica differenza erano gli occhi, di un nocciola scuro, brillanti e vivaci.
“Non prendere le sue difese!” le disse puntando un dito con aria difensiva.
“Non ci penso proprio!” le rispose la donna, ridendo “Volevo solo sapere se stavi bene e se volevi un cappuccino prima di andare via!”
“Sì …, si grazie!” mormorò Belinda, sospirando.
Tracy sorrise aprendo la porta e mentre usciva, le sussurrò:
“Trilly è in agitazione perché non ti vuole perdere ancora e preferisce starti vicina perché ti vuole bene! Non avercela con lei!” e, uscendo, si chiuse la porta alle spalle.
Trilly! Belinda fece un sorriso affettuoso pensando al nomignolo che aveva affibbiato alla sorella quando era nata perché la sua risata le ricordava un trillare di campanelle. Ed in effetti Naomi aveva sempre un sorriso pronto, due occhi verdi e brillanti, una capigliatura riccia e bionda e un carattere molto affettuoso. E poi aveva un grande cuore, sempre pronta ad aiutare, ascoltare e farsi in quattro per gli altri.
Le venne in mente l’immagine di Naomi diversi mesi prima, accoccolata ai piedi del suo letto, mentre le canticchiava una nenia per consolarla del suo dolore e le accarezzava una mano.
Le si strinse il cuore e una folata fredda le attraversò la schiena … “Basta!” si disse e aprì l’acqua fredda per sciacquarsi il viso.
Dopo qualche minuto si diresse in camera sua per vestirsi e mentre passava accanto alla cucina, scorse Naomi intenta a scrivere sms alla sua amica del cuore, con aria abbacchiata.
Indossò un paio di jeans, una t-shirt, le sue comode scarpe da ginnastica e legò i capelli in una coda, passandosi un sottile filo di matita agli occhi.
Diede un’occhiata al trolley pronto in un angolo, alla sua giacca di pelle e sospirò.
Inutile, quella piccola strega aveva vinto ancora una volta … altro che fata!
Tornò in cucina, si sedette su uno sgabello al banco e gettò un’occhiata alla ragazza bionda, che fingeva di non averla vista e si ostinava a pigiare i tasti sul telefonino.
“Visto che ci sei, dì ad Annalisa che le do’ solo mezz’ora per preparare la valigia, che sia leggera e che sia pronta sulla porta di casa quando passiamo!” disse sorridendo, mentre addentava un pezzo di muffin al cioccolato.
Il trillo di campanelli risuonò nella cucina ed era la risata di Naomi mentre si sollevava dalla sedia, abbracciava la sorella, le schioccava un sonoro bacio sulla guancia e si precipitava a vestirsi, inviando a velocità supersonica un messaggio all’amica del cuore.
Il sorriso di Belinda si allargò e sentì una dolce carezza sul cuore, mentre guardava negli occhi sua mamma, che continuò a versare il caffè nella tazza con un sorriso complice.
“E se non fa la brava, potrai sempre punirla, tagliandole i fondi da spendere!” le disse alludendo alla mania di shopping che aveva Naomi.

... continued ...

Eccomi qua!!

Bene, ho deciso di postare in versione integrale il primo capitolo del mio libro dedicato ai Tokio ... Sarà una bella esperienza capire se possa piacere questo genere di racconto e darmi delle idee per quanto riguarda il secondo episodio.
Se vi va di leggere e commentare, tutto è gradito!
La copertina, con cui non andrà mai in stampa, per ovvi problemi di copyright è la seguente ... spero possa piacervi!


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A presto
Tracy